Cadeva
senza fretta posandosi quieta
sui primi germogli del tiglio
sognando il profumo dei fiori
e l’estate, con la brezza
che scende la sera dalla valle
a solleticar le gote.
S’imbiancava
il paese sotto lo sguardo
incredulo dei tetti
lasciandosi travolgere da
improvvisi fremiti
prima di concedersi al sonno,
intessuto del disperato
anelito di un sorriso.
Non chiedere
all’angelo della morte
d’incenerirti il cuore,
scruta le sue pupille scavate
dall’avidità del sangue
e dissétati della sua pena.
Sentirai scorrere linfa nelle vene
a lenire il dolore che brucia
nello squarcio aperto
da quella lancia infuocata
che a tradimento ti ha colpito
al fianco.
Nulla sarà come prima,
ma resta l’ansia dell’attesa,
che si alimenta di pochi fotogrammi
accartocciati
come foglie d’autunno
e poi sarà di nuovo respiro,
nel silenzio siderale del cielo.
È questa una notte di tormenta,
che accompagna
nella sua diabolica danza
il turbinìo di una neve
sottile e ghiacciata,
fragile filigrana fra i rami
scheletrici delle betulle
sulla scarpata della ferrovia.
S’amplifica
l’ululato del vento,
che morde le onde
del lago impazzito
di paura
nell’ora desolata della resa,
quando più nulla vale
di fronte allo sgomento
della morte.
Al delta del fiume sono incastonate
le gemme dell’ultima primavera,
interminabile e lenta
nella sua disperata malinconia.
Era un brulicare di vita
tra la schiusa delle uova
e il pigolio implume della tua voce
mimetizzata fra le altre,
ignare del tempo e della sorte,
ancorate al saliscendi della marea
nell’eco dei richiami
che la sabbia più non poteva
trattenere.
Imprigionato nella ghiaia
resta il ricordo del solco
scavato sulla riva,
tra le onde incalzanti e brevi
della corrente,
che affrettano al volo,
guidato soltanto dal ritmo
ossessivo
delle stagioni e delle lune.
Migrare è come morire:
tu non tornerai al nido,
e nemmeno quelle piume.
Resteranno soltanto
pochi frammenti di gioia
rosi dalla nostalgia,
sepolti nella ghiaia sottile
che dalla foce entra nel lago
e lì s’annega.
Il fiume Tresa che scorre nei pressi di Luino, è un importante crocevia per l’avifauna migratoria, nel suo percorso dalla Scandinavia all’Africa occidentale. Un’isola sabbiosa, che regolarmente compariva nei periodi di magra, alla sua foce, lo scorso anno è stata eliminata dalle autorità per ragioni di sicurezza, anche se numerose specie di uccelli lì trovavano cibo e riposo prima di riprendere il viaggio migratorio. Fino all’ultimo ho spinto Gianni fin laggiù, in cerca di tranquillità e di serenità, nel tentativo di sfuggire alla Morte…
Sul leggio delle giornate silenziose
e senza Verbo
giace lo spartito della rassegnazione
alla volontà di Dio,
dopo che l’ultima nota
è volata in cielo con la caligine dei camini.
S’incrina, la voce,
incapace d’intonare la litania del perdono,
lasciando il canto fermo alla polvere del tempo
perché si mescoli ai grumi del sangue
e ne conservi la memoria,
da consegnare fra le mani della misericordia.
La preghiera “El Mole Rachamim”, “Signore della misericordia”, fu scritta per commemorare gli stermini avvenuti già nell’anno Mille al tempo delle Crociate, e susseguitisi per tutto il millennio fino ad Auschwitz. È una preghiera che commemora i morti di morte violenta, la cui vita è stata troncata ingiustamente, prematuramente. Questo canto è diventato, dopo lo sterminio nazista, l’emblema di quella tragica esperienza. A perenne memoria, ricorda i nomi di tre lager tristemente celebri, Auschwitz, Mauthausen e Treblinka.
Jordi Savall nel suo:Jérusalem. La ville des deux Paix: la paix céleste et la paix terrestre, incluse una registrazione storica del 1950 in cui il cantore Shlomo Katz, un ebreo di origine rumena sopravvissuto alla prigionia nei campi di concentramento, esegue questo canto funebre.
Nato nel 1919 nel villaggio di Nagyörság in Ungheria, noto allora con nome tedesco di Grosswardein, il “cantor” Shalom Katz fu catturato e deportato nel 1942. Nel lager, Shalom Katz era uno dei 1600 ebrei la cui esecuzione era stata programmata. Ebbe il permesso di cantare El Male Ra’hamim mentre ogni prigioniero scavava la propria tomba. Il comandante nazista, impressionato dalla sua voce, lo separò dagli altri in modo che potesse cantare per gli ufficiali. Il giorno dopo, Shalom Katz riuscì a fuggire dal lager. Fu il solo superstite di quei 1600 ebrei.
E’ stato recentemente pubblicato un libro nella collana “Quaderni di Storia del territorio varesino”, edito da Pietro Macchione (Va) dedicato ai quattro monasteri Fruttuariensi della Valle del Seprio, fra i quali la Badia di S. Gemolo, a Ganna, presso la quale è stato ritrovato un antico Antifonale (manoscritto liturgico di rito ambrosiano) risalente ad un periodo compreso fra la seconda metà del XV secole e la prima metà del XVI secolo. Il prezioso testo, riccamente illustrato, riproduce anche le foto a tutta pagina dell’intero spartito, la notazione, i testi in latino e la loro traduzione, nonché l’analisi e le note sulle scelte interpretative che il gruppo vocale “Antiqua Laus” ha adottato nella registrazione di un pregevole CD allegato al volume.
Le tracce del CD comprendono:
Ufficio e Messa di S. Giovanni Battista (compresi Salmi e Magnificat)
Messa del Santo Rosario
Brani dell’Ordinario (Gloria Domenicale, Credo e Sanctus XVII)
Antifone mariane
Nel marzo del 2007 io e Gianni abbiamo fotografato così il chiostro della Badia Benedettina di S. Gemolo a Ganna (Va)
[cincopa AcJAYFbyApDz]
In festo S. Joannis Baptiste ad missam – Ingressa: Spiritu Sancto
Alzasti il calice al verde cavaliere,
che giungeva col ghigno amaro
tra i denti larghi e le orbite
incavate, senza ciglia.
Tendesti le braccia alla criniera
del suo cavallo per montarlo a pelo,
trafiggendo al crepuscolo la Fede
che agonizzava tra le mie labbra.
Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
Giovanni Apocalisse 6: 7-8
Salvador Dalì: il cavallo della Morte – litografia
Muso di gatto nerofumo si staglia
al riverbero della parete d’opale
che rilancia il silenzio dei giorni vuoti,
in attesa del volto in penombra
svanito d’ autunno,
nell’alba mite e senza pioggia.
Annusa l’aria
nell’eco di quel respiro
sull’orma della sua voce,
pigolio di pulcino in occhi di bambino,
poi lentamente svanisce,
tornando al miagolio di un sogno infranto
sulla soglia dell’ultima stagione.
E sono squarci d’azzurro,
che si posano sul tumulto dell’onda
lacerata dall’urlo del vento d’Oltralpe,
a consolar lo sguardo che più non si posa
sul riflesso del fiordaliso.
La ringhiera vuota
si sporge sull’orizzonte straniero,
nell’ansia di scorger la chiglia audace
di un battello solitario
fendere il gelo di un perenne abbandono,
ché più non sa la rotta per tornare in porto.