Diario di bordo Intercity 591

Milano-Stazione Centrale: “Il treno Intercity 591 Partenope delle ore 11,10 è in partenza dal binario… L’arrivo a Napoli è previsto per le ore…”
Viaggio di lavoro, il mio, e fuga…
Il posto n.115 è vicino al finestrino.
Fotografo una coppia che si bacia sulla pensilina: attraverso il vetro sporco sembra avvolta nella nebbia, o bagnata dalla pioggia. Lei piange, lui l’abbraccia di nuovo e la bacia ancora, poi lei sale.
Partono contemporaneamente, il treno e il mio MMS “L’ultimo bacio”… Il bacio che io, invece, non ho dato, stamattina, mentre abbandonavo mia madre morente, nel letto di una casa di cura.
“Tu-tum… Tu-tum…” Sussurra il treno, mentre sfreccia attraverso la pianura padana, così piatta, lontana, indifferente…
Passeggio tra le carrozze e osservo la gente: c’è chi parla, chi tace e dorme, appoggiato al finestrino, chi sgranocchia seduto in corridoio. Un neonato si è appena appisolato tra le braccia della sua mamma: gli occhi due fessure, che tagliano appena il faccino rotondo. Tre studenti, al computer, correggono l’ultimo elaborato, prima dell’esame…
A Reggio Emilia un’ondata di passeggeri sale in fretta. Un uomo con due grandi valigie corre verso la carrozza n. 8, temendo che il treno riprenda la sua corsa senza di lui.
Penso alla carrozza che trasportò Pinocchio e Lucignolo nel Paese dei balocchi: ad ogni tappa frotte di ragazzi la prendevano d’assalto, ignari del loro destino…
Questa pianura è interminabile, cascine e casali a ripetizione: Tu-tum…Tu-tum…
Vorrei rimanere all’infinito sull’IC 591-carrozza n.8-posto n.115, ad osservare le persone, per indovinarne i pensieri, per accompagnarle nel loro viaggio, perché il mio non voglio condividerlo: il dolore non si può condividere.
Così cerco di ascoltare i passeggeri che litigano per le prenotazioni, illudendomi di dimenticare quel luogo orribile, travestito da Paradiso per ricchi, con camera singola vista lago e Valentina…
Lo sguardo di mia madre mi tormenta: ora immobile, ora terrorizzato, con i lacrimoni che scendono dagli angoli di quegli occhi gonfi ed arrossati, mentre le stringo la mano, sussurrandole che è tutto a posto, che non è successo niente… Ma lei l’ha capito, che se ne sta andando, che mi sta lasciando…
Così non l’ho baciata, prima di partire, sentendomi comunque un Giuda.
Tolgo dalla borsa l’Ipod: ora infilerò gli auricolari, staccherò i contatti con il mondo, alzerò il volume, ubriacandomi di musica e assumerò quello sguardo un po’ ebete, perso nel vuoto, che mi fa sempre ridere quando l’osservo sul volto degli altri.
Tentativo fallito.
Il mio cervello non può andare in stand-by: nello scompartimento si è appena installata una famigliola. “Volete favorire?” Mi chiede la figlia in napoletano stretto, mentre addenta un fragrante panino con la mortadella. “No, grazie”. Rispondo educatamente, infilando l’Ipod in tasca. Confesso che le mie orecchie preferiscono lasciarsi cullare dalla musica di questa lingua, così dolce e sanguigna nello stesso tempo.
Dopo Bologna il paesaggio incomincia finalmente a muoversi, piegandosi, gonfiandosi, ammorbidendosi come le zinne di una bella ragazza, poi, all’uscita di una galleria nel cuore degli Appennini, il cielo sereno ci abbandona di colpo, lasciando spazio ai nuvoloni minacciosi di un temporale incombente.
L’improvvisa aria fredda che esce dai bocchettoni sotto al finestrino, riattiva la comunicazione con i napoletani, i quali mi offrono un fragrante caffé zuccherato, che questa volta accetto volentieri.
“Sono stupidamente felice” Ti scrivo in un SMS. “Non devi sentirti in colpa” Rispondi.
Siamo solo ad Arezzo e abbiamo mezz’ora di ritardo. Sulle montagne, qua e là, qualche macchia bianca, di neve, e da un po’ il cellulare è muto, ma chi se ne importa: sono sulla carrozza dell’Omino di burro e i miei sensi di colpa sono anestetizzati.
Se il tempo rallentasse…
STOP!
Fermo immagine, Slow motion: un battito di ciglia diventa infinito e questo cielo di temporale mozzafiato va len-ta-men-te a scontrarsi con la quiete di questa campagna verde smeraldo, attraversata da una ragnatela di strade bianche.
I tuoi messaggi hanno ripreso ad arrivare: “Non macchinare troppo, goditela!”. Infatti non rispondo e finalmente mi appisolo…
“Orte: prossima fermata, Orte!” E’ la voce del capotreno a risvegliarmi e il tempo, a fatica, riprende a scorrere: TIC-TAC…
Sto per abbandonare il mio limbo, che mi ha protetta e cullata per qualche ora.
Esco in fretta dallo scompartimento, baciando i napoletani come se fossero miei parenti, aiuto una giovane mamma a far scendere la sua bambina e poi tocca a me: ecco, sono fuori!
Nel crepuscolo pungente di questa triste pensilina laziale osservo ancora una volta l’Intercity 591 Partenope, mentre riprende la sua fuga: Tu-tum…Tu-Tum…
Finalmente ho capito: il vero compito dei treni è quello di custodire e proteggere i sentimenti, rattoppare strappi, medicare ferite, concedere qualche momento di tregua…
Poi m’incammino spedita verso l’uscita, senza più voltarmi indietro.

P.S. La prima stesura di questo “diario di bordo” risale alla fine di marzo 2008. Il primo aprile di quello stesso anno mia madre morì.

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2 Responses to Diario di bordo Intercity 591

  1. silvia says:

    Nei momenti più tristi della vita, ci si spersonalizza quasi, nella speranza di non dover essere gli interpreti d’un doloroso momento d’addio che vorremmo non arrivasse mai…
    ma la vita, anzi il tempo, continua imperterrito il suo percorso, senza degnarci ne anche
    di uno sguardo, trascinando con sè le persone che amiamo e facendoci illudere, in attimi
    impersonali, che non stiamo vivendo davvero quella realtà che non riusciamo ad accettare nel profondo….
    Marina sei sempre molto espressiva nel tuo proporti; ho molto apprezzato questo
    tuo brano

  2. Anna Maria Obadon says:

    E’ bellissimo : mi ha fatto riflettere e ritornare indietro a non troppo tempo fa.
    Quando una persona che amiamo se ne va sorgono tanti piccoli o grandi rimorsi postumi. Da una storia di vita, molto simile alla tua, ho imparato che dobbiamo urlarcelo l’amore finchè c’è vita. Se riusciamo a farlo ci si sente alleggeriti e consapevoli di aver dato il meglio di noi. Bravissima Marina, come sempre.

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