Nel giorno del tuo compleanno
Papà,
sono passati così tanti anni da allora e ti chiedo perdono se non ti ho mai scritto, ma non ho mai smesso di parlarti…
Ero una bambina e ora sono una donna di mezza età,.
Una donna cresciuta senza di te, con la memoria congelata a quel giorno, quando il rantolo della tua vita che se ne andava ha improvvisamente squarciato il silenzio della notte.
Le mie certezze si sono fermate lì e a quella domanda che non ha mai ricevuto risposta: perché? Perché proprio tu, il mio papà?
Da allora,tutti i perché della mia vita non hanno mai ricevuto risposta e chissà, forse, se ci fossi stato tu, mi avresti aiutata a cercarne almeno una…
Ricordo che scesi dal letto a piedi nudi, quella notte, per correre da te, ma la mamma mi prese in braccio e mi portò subito fuori, consegnandomi tra le braccia pietose di una vicina di casa…
Così non ti vidi più: dal bacio della buonanotte al nulla…
Ancora oggi, dopo tanti anni, cammino scalza sul sentiero della vita…
Sono tutti piagati, i miei piedi, e so che ormai non guariranno più.
Se ci fossi stato tu, a proteggermi dagli errori, ad incoraggiarmi nelle scelte, a consolare i miei dolori, a scacciare i mostri della notte, forse sarei riuscita a trovare le pantofole che persi quella sera e avrei potuto camminare senza farmi troppo male.
Porto sempre con me la tua foto di partigiano, per ricordarmi che sono figlia di un uomo coraggioso e ho cercato anch’io di comportarmi come te, ma non so se ci sono riuscita, non so se saresti stato fiero di me…
Quante volte mi sono chiesta se avresti condiviso le mie scelte, o se ti avevo deluso…
Quante volte mi sono vergognata, sapendo che avresti disapprovato il mio comportamento…
Ma sono sicura che, nonostante tutto, avresti sempre rispettato la mia libertà, anche quando sapevi che sarei andata incontro a grandi delusioni.
Quando me ne sono andata da Milano, ti ho lasciato laggiù, in quel luogo orribile e tanto triste, buio, grigio, dimenticato, dove venivano relegati i “senza Dio”, proprio accanto al camino del forno crematorio che aveva accolto la tua bara quel sabato pomeriggio.
Ci ho pensato tanto, in questi lunghi anni, e non sono mai tornata laggiù, perché sapevo che tu non eri là.
Tu sei sempre stato qui con me e mi hai vista piangere, ridere, amare, odiare, cantare, urlare, desiderare la vita e la morte… finché, forse per egoismo, o per amore, ti ho strappato alla tua città per portarti qui, al sole e al tepore del lago, pochi mesi prima che la mamma se ne andasse, per non lasciarla sola…
Perdonami papà, ma oggi che non ho più nessuno, mi illudo che, almeno tu, sia finalmente felice, vicino a lei… perché siete di nuovo insieme, voi due… almeno voi… che non avete mai avuto dubbi sul vostro amore.
E non arrabbiarti se ho voluto compiere l’ultima eresia, contro il parere di tutti…
Ho scelto una nuova fotografia per la tua lapide: tu che abbracci tua figlia bambina, perché sono tanto stanca, di continuare a camminare a piedi scalzi e ho bisogno di non sentirmi sola…
Sergio Perozzi Milano 11/4/1925 – 22/11/1963