Chicca della mamma

Te ne sei andata in silenzio,
senza disturbare,
concedendomi l’ultima notte
per stringerti fra le braccia,
con il muso abbandonato
sfinito tra le pieghe del collo
assimilando le pulsazioni del cuore.

Soltanto poche ore d’agonia
con le pupille dilatate verso l’infinito
e la voce di lei che ti chiamava “Chicca”,
per guidarti verso l’altra sponda.

Una fugace incertezza della Morte,
indecisa se prenderti
o lasciarti ancora un po’,
poi l’ultimo sospiro,
mentre vedevo il volto di mia madre
specchiarsi nei tuoi occhi
che mi dicevano addio.

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Chicca dagli occhi di giada

Vecchia gatta
miagolante
insistente
supplichevole
davanti all’armadio
chiuso.

Zampa
che spinge
l’anta
scorrevole
bianca.

La guardo
infilarsi
rapida
accoccolarsi
ai piedi
del suo paltò.

Occhi di giada
imploranti
chiedono
di lasciarla restare.
Manca il coraggio
di farla uscire.

Chicca
attende
paziente
facendo le fusa.
Sente ancora
la mano
ossuta
piagata
tremante
tentare
l’ultima carezza
sfinita.

Richiudo
in silenzio
la scorrevole
anta.
Mi metto in disparte
lasciandole sole.

Pubblicata sul sito www.scrivere.info il 6 aprile 2010

Oggi 30 gennaio 2011 la vecchia gatta ci ha lasciati, dopo una breve quanto inaspettata agonia… Forse la mia mamma l’aspettava, così l’ho lasciata andare da lei…


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Tracce

Senza tracce i miei passi
scivolano sul ghiaccio,
pattinando su affilati rasoi di parole
inossidabili alle lacrime, che invano
hanno solcato la ragnatela degli anni,
supplicando uno sguardo d’amore
prima che la nebbia ritornasse
perenne a soffocare con ovattato silenzio
pensieri arroccati nell’inespugnabile torre
dell’abbandono.

Sopravvivo al beffardo inganno
di un’assurda raccolta di bugie
in versi sciolti.

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Profumo di calicantus

Fiorisce, il profumo degli anni perduti,
in poche gocce d’acqua
raccolte nel vetro di un vaso troppo esile
per contenere l’arroganza di fragranze
troppo ostentate per apparire vere.

Ad occhi chiusi ritrovo la mano
che silenziosamente deponeva il dono
nella gelida stanza, che l’inverno
irrigidiva congelando le emozioni,
in attesa di una primavera che
non sarebbe mai arrivata.


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Movie dagli occhi verdi

Ancora un altro giorno

allunga l’attesa

nello spazio di tempo

diluito tra una goccia e l’altra

che in vena dilata il tormento,

prolungando l’agonia

di un miagolio che muore.

Insisto e non m’arrendo

a lasciarti andare,

stringendo le tue ossa

e leccandoti il muso,

naufragando i miei occhi verdi

nei tuoi, che m’assomigliano.

Enza Pria – Giovanni Barrella – La mamma di gatt

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Il miracolo della Croce

Si erge, la Croce,
sui rifiuti del mondo
sulla vita che si spegne
sui fiori appassiti dallo stelo piegato
vinti dal peso insostenibile
di una pioggia acida e corrosiva
che dilaga sul giardino dell’Eden.

Petali sfatti, accartocciati,
macchiati di sofferenza
che ossida i sentimenti
e tinge di giallo la speranza,
arrugginita da ciglia
incapaci di volgere ancora
lo sguardo al cielo.

Legno fradicio di dolore
che sostiene l’agonia dell’anima,
per offrire la via d’uscita
che dal tormento riconduce a Dio.


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Briciole di passato

Tracce di passi sporchi
dalle suole unte di sudore e di miseria
che non chiedono il prezzo
di un’accoglienza priva di amore e di rispetto
nel gelo di una città sonnolenta,
tra frammenti di vetro
e rifiuti di umanità abbandonata
alla ricerca del calore di un sorriso
rimbalzato dall’avorio dei denti
sul deserto dei sentimenti.

Orme braille lungo le strade di una memoria canaglia
seguono i binari in controluce del tranvai,
che sferragliando semina briciole di ricordi
sulla piazza rivestita di acre fuliggine e di smog,
mentre lo sguardo tradito osserva le aiuole incolte
di un giardino che la delusione ha rivestito
di desolata malinconia.

(I giardini dell’infanzia sono sempre rigogliosi e profumati… non cambiano, loro, nel ricordo di chi li ha amati alla follia…)

Milano, 16 gennaio 2011

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Parole

Semi
gettati a pioggia
sul terreno cedevole
della mia mente
gravida di desideri
che non trovano
una zolla che li accolga
per farli germogliare.


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Respiro arcano

Non un raggio di sole filtra
da questa rete di bruma spettrale,
garza bagnata sdraiata
tra la spiaggia e il lago,
lamentosa presenza tradita
da un beccheggiar di chiglie
nell’inconsistente porto.

Perdersi in questo vapore
lattiginoso,
cangiante ragnatela
sui capelli bagnati,
che la pelle assetata di ricordi
assorbe, e gli occhi,
sazi d’improvviso pianto.

S’incarna una darsena
coi suoi Navigli,
nebulizzando il respiro arcano
di una gioventù che non ritorna.

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Le risate degli infermi

La freccia indica la finestra della stanza di Giampiero Iezzi, ricoverato presso l’Istituto C. Besta di Milano, in attesa di sapere se potrà essere operato per ridurre gli effetti del suo Parkinson.

Di fronte all’Istituto si trova il Dipartimento di Fisica del Politecnico

Candidi asfittici ciclamini
sul davanzale della finestra
dai vetri appannati di sospiri e di dolori
piegano lo stelo verso il cortile
del Dipartimento infreddolito
coricato fra i prati brinati di Città Studi.

Petali intaccati da corrosivo enfisemico smog
che aspirano a giovani contrastanti risate,
per rintuzzare i gemiti soffocati degl’infermi,
adeguati al ritmo di piedi tumefatti
strascicanti in pantofole imbottite
d’amarezza e rassegnazione.

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