Nel lebbrosario dei sentimenti
nulla è uguale ad allora
e tutto si vela,
come il sole
che dietro la nebbia si nasconde
virando di colore
Scorre il tempo,
viaggiano le ore
come le grigie nuvole
d’autunno
che vestono il cielo
di un tiepido mantello,
mentre l’attesa si fa sottile
e trema
raggomitolata nella paura
del silenzio
Lanugine di pensieri
dimenticati tra le spine
di un rovo intirizzito,
sospesi tra la caligine
del sottobosco
e i sensi anchilosati.
Semi mai gemmati
che serbano l’anelito
ad una fragranza mai vissuta,
polverizzati
sotto una coltre di cenere
bianca.
Forme e colori liquefatti
nello specchio stagnante
che della marea
conserva soltanto il fremito
di un ricordo
Lì
sta la realtà ingannevole
delle promesse
congelate in un riflesso
dai contorni confusi
specchiandosi in una simmetrica
solitudine
che avrebbe voluto chiamarsi
con un altro nome
invece
invoca il contatto di un sasso
sulla superficie dell’acqua
per scompigliarne l’equilibrio
perfetto
Parole
come bucato steso al sole
candeggiato
su pietra di lavatoio
che il soffio dell’altopiano
porterà a destinazione
senza busta né francobollo
Profumano
di pulito e di cose buone
immemori delle macchie
di un tempo dissoluto
che il fato ha rimosso
prendendosi la nostra vita
in cambio di un’anima
immacolata e fresca
Solitaria inquieta sosta
tra lo spessore del verde
e il bianco opalescente
di un fiore senza profumo
dai petali cangianti
che inganna il desiderio di baci
offrendosi ai pallidi raggi
dell’ultimo sole.
Fragili ali si sfrangiano
al vento che s’alza
improvviso dall’acqua,
umido presagio di fine
imminente
che leggiadra arriva
nella trasparenza della luce
mentre indugia
nel bacio d’addio
all’ultima farfalla
che vola via.
Il frutto dorato
ormai maturo
stava solitario
sul ramo
nella stagione
della raccolta
e delle bacche.
Tutti
allungavano la mano
ma
nessuno mai
l’avrebbe colto.
Tu l’hai trovato
nel tempo della cenere
e della brina
mummificato
nella sua stessa buccia
per deporlo
in un canestro di vimini
al riparo
di una tiepida serra.
Il mio mondo
è confinato in una lacrima
di pioggia
che indugia tremante
sulla punta di una foglia
Fragile gelatina
scampata per caso
alla rabbia
di uno spietato cielo
riflette
dilata
deforma
fuggiaschi
silenti pensieri
in cerca di rifugio
dallo sgocciolìo
del pianto
Basterebbe
soltanto un sospiro
per farla staccare
dal gambo
L’osservo,
prolungando l’agonia
soltanto lo spazio
dell’estremo lampo
Poi
chiudo le labbra
inspiro
soffio
Ho raggiunto il golfo
dove dimora il vento
nascosto tra le vette
delle montagne antiche
che di glaciale pianto
colmarono l’abisso
scavato nel cuore della terra
emersa dal cristallino mare
Scende
accarezzando l’onda veloce
ed accogliente
rifugio delle sopite voglie
e dei sospiri che dalle celle
si levano in attesa del mutar
di quella rosa
che segnerà la direzione
in cui fuggire
solcandone la superficie
ammantata di spuma e di stelline.
Là
al limitar del molo che si tuffa
nel cobalto di un azzurro
in cui si specchia il cielo,
ho volato anch’io
seguendo il passaggio degli aquiloni
e delle luminose vele
inquadrati nell’angusto spazio
di un obiettivo digitale,
ultimo confine proibito
al desiderio di una libertà artificiale
Nascendo
Improvvisa
imperiosa
ti elevi
sopra la misera terra
delle tue radici,
che ti nutrirono
per il tempo
che lungamente
aveva atteso
l’attimo
del tuo sbocciare.
Tripudio fiorito
offerto
al calore del sole
ai frutti maturi
alla pioggia sottile
al candore della neve
che dal gelo ti riparò.
Grappoli sorridenti
rivolti all’azzurro,
ventagli ondeggianti
alle carezze del vento
che gioca fra i petali
suggellando
promesse d’eterno
amore.
Il tramonto ti vedrà
adagiare il corpo
sulle ali dell’angelo
gemente
disceso solo per te
spiegando le ali
elevandoti al cielo
fra le sue piume.
Morendo
È l’ora in cui la pioggia
lascia il posto al sereno
che si fa strada sul crinale dei monti
mentre le nubi corrono
verso la pianura
sospinte da un vento frettoloso
che brama soltanto il salmastro del mare
ignorando quest’acqua dolce di lago
che invano sperava in un lampo d’azzurro
Ultimi bagliori
di porpora e viola
lo sfondo d’aggrovigliata bambagia
che s’impiglia tra i rami più alti dei pini
sfiorando le umide tegole di un tetto
ormai rassegnato a questo buio che avanza
Al crepuscolo
