Come un lebbroso

Un bacio, una carezza, una rosa
una parola nuda
privata di quel rosso rutilante
che abbaglia le ciglia degli amanti
e veste le bugie di vellutati guanti…

Per un giorno, un’ora soltanto vorrei
non ascoltare il suono fesso che decora
il respiro ambiguo dei falsi ardori
né abbassar lo sguardo
per non legger la menzogna
intinta nel calamaio dell’inganno.

Come un lebbroso
trascino le mie piaghe
tra la pietà e l’orrore dei passanti
che si scansano volgendo gli occhi altrove
illudendosi di stringer la passione fra le mani
finché la morte soltanto li separi.

Come un lebbroso – Versione audio

[cincopa A0FAz3qJ20e_]

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Blackbird

Nero su bianco,
bianco che inghiotte il nero.

Nel rosso affonda il becco,
in cerca di tepore.

Muore intirizzita
l’anima non connessa al cuore.

(Anche attraverso le sbarre di una prigione, l’occhio non può smettere di osservare…)


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Nel candido giardino

S’è posata,
come soffice bambagia
ad intenerire il gelo
che attanaglia il cuore,
per attutire la voce arrochita
che ancora urla il nome
di un amore appena sfiorato.

S’è adagiata,
in sordina, sbocciando
tra i rami spogli delle betulle,
insinuandosi fra le dita intirizzite
che artigliano ricordi evanescenti
disciolti da un raggio di sole infantile
in cerca di compagnia.

Tra poco la notte oscurerà i riflessi
di queste gemme giunte all’improvviso
e scenderà il silenzio nel giardino della memoria,
ove languono le carezze e i baci negati
dagli amanti distratti,
nel gioco delle passioni fugaci
che giacciono sotto la coltre di candida neve
sognando una primavera che non potrà tornare.


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Come Parsifal

Non smetti mai di mostrarti in una veste nuova
intessuta di rubino e di ossimoro,
nell’improvviso calore di un tramonto
che nel dare addio al giorno
si tinge di sangue,
per regalare al gelo della notte l’impressione
di un’estate che non tarderà ad arrivare,
dilatandosi in un sogno intriso di resurrezione,
là dove l’altra sponda offre allo sguardo
il disegno rassicurante delle sue luci.

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Tornerà il favonio

Singhiozzo di respiro, atrofizzato cuore,
ischemia di pensieri sgocciolati sul selciato molle
di un marciapiede dimenticato
dai giochi col gesso e con le biglie.

Il tacco a spillo s’incaglia tra bitume e sudore sfatto
nell’afa dell’aria greve che sale inesorabile dal lago,
incollando poltiglia di ricordi fragranti d’acacia
ad occhi sbavati ed insonni, in cerca di sorriso.

Cadute e ricadute sul medesimo inciampo
costringono ancora a rallentare il passo,
in attesa che scenda il favonio dai monti,
sferzando di sabbia le gote,
incrinando di sangue le labbra,
offrendo l’odore pungente del fieno,
ove l’ortica contende il pascolo al brugo
e le caviglie sciolte dal giogo,
di viola mirtillo macchiate,
affideranno al soffio del vento
l’ombra di un rancore che non esiste più.

Tornerà il favonio – Versione audio

[cincopa AQDAs06SOIIv]


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Stracci di memoria

Ha contorni sfumati il ricordo
dei giorni di pioggia e di fango,
carne e sentimenti trafitti dal filo spinato
tra il mugolio sfuggito al terrore
e le preghiere nella lingua dei padri,
per invocare il coraggio di sopportare.

Cantano, i bimbi ignari del fumo,
inseguendo ancora la giostrina coi suoi cavalli,
mentre l’accordo di violino in sordina
dilata nel gelo la melodia
che volge alle fiamme il suo canto.

Nevica da giorni, lassù in Polonia:
oggi come allora i miseri stracci
urlano alla pietà della memoria
lo sgomento e l’orrore,
mentre lo sguardo incredulo del futuro
ancora s’interroga e non risponde.


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Dietro la persiana

Sembra lontana la tormenta
che s’allarga sul crinale
e si confonde col vapore caldo
e confortante che sale dai camini.

È fragranza di profumi e sentimenti,
di uva passa e di canditi,
di polenta che cuoce sulla fiamma
avvampando le gote e il cuore.

Non basta un frammento di gioia
spiato dal vetro appannato
dietro la persiana
per allontanare il turbinio del vento
e lasciar filtrare il sole.

Dietro la persiana – Versione audio

[cincopa AkFAsyaV6_42]

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Vendemmia amara

A mani giunte vorrei raccogliere le dita
intonando l’invocazione del perdono,
ma le ginocchia sbucciate
trascinano ancora la pena
avvinghiata alle radici del rancore,
alla ricerca di una goccia
di fede nella quale intingere le labbra riarse
dall’ostinato diniego
che m’impedì di chinare il capo
accettando l’amara vendemmia
di una vigna avara.

Vendemmia amara – Versione audio

[cincopa AkBA2xq0wDFX]

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Si tinge di porpora la bruma

Protende le braccia al tramonto
il molo immemore dei nostri passi,
quando s’inoltravano fino all’estremità del faro
là dove il profilo di crudo cemento intimorisce
la guglia del campanile che mollemente
s’immerge nell’acqua assopita
in riva al lago.


Un abbraccio
che non seppe trattenere a lungo
il calore di un fuoco ormai esangue,
cinge ancora l’invernale bruma dello sguardo
che oltre il limitar del porto immaginava
la sua via di fuga.

Ora, nel silenzio di quest’ora
che lentamente declina verso la sera
avvolgendo di porpora l’orizzonte
sfumato verso l’altrui riva,
soltanto il timoniere, in lontananza,
scandisce il ritmo degli scalmi e della voga,
accompagnando la malinconia del tempo,
con l’eco ovattata dei suoi ricordi.


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Sorriso di neve

Ora che la neve s’è fatta più vicina
e le ombre lunghe della sera
tra poco copriranno col manto
della notte la sentinella muta
che vigila alla mia porta,
avvolgo i piedi nudi nel gelo del silenzio,
lasciando ciò che rimane
all’ultimo sorriso che mi donasti,
brindando senza rancore alla vita
che s’è presa gioco di noi,
lasciandoci sul banco dell’usato
in balia di un destino sciagurato e cieco.


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