Silenzioso amore

Impugnerò il pennello
intinto nei tuoi pensieri
spalmati di miele,
fragranti di resina e di trementina,
che dell’inverno colgono
il tepore di una cuccia
e non il brivido di una pioggia
incapace di tramutarsi in neve.

Dipingerò un amore silenzioso,
che si nutre della nostra malinconia,
che si disseta con un bacio appena sognato,
mentre la  vita continua a tessere senza fretta
il suo mantello dalla ruvida trama,
che non può riscaldare e non risana.


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Al confine

Voci indistinte sfiorano il dormiveglia
tra le persiane semiaperte
sul confine soffocato della mezzanotte,
accompagnando le luci del bar ancora accese
sull’asfalto che conduce alla frontiera,
graffiato dagli artigli di un motore fuori giri
con la smania di tornare a casa in fretta.

Sogno di attraversare il valico
allungando il passo senza voltarmi indietro,
ché la terra straniera
è una distesa dorata di tarassaco fiorito
pronto a spiccare il volo
al primo alito di pensiero,
aggrappato ad una lanugine evanescente
e senza voce.

Inserita nel volume “Poesia sotto le stelle”, a cura di Tiziana Mignosa e Maria Grazia Vai.
Cinquanta autori selezionati dall’Associazione Culturale Tyrrhenum per la Collana “Delirio d’amore”, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Pomezia (Roma).

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Sognando la riviera di levante

Verso il nulla s’incammina l’illusione,
ricamando merletti al tombolo della vita…
Salmi e imprecazioni inchiodati agli spilli
che le navette incrociano con bava di terrore e di speranza
sulla passeggiata che va all’imbarcadero,
dove l’attracco si fa impossibile
quando l’arsura prosciuga la riva
scoprendone i detriti.

Intanto
la mente rincorre la salsedine del mare
volgendo a ritroso lo sguardo verso la riviera di levante,
dove i fuselli tra le mani di una vecchia ricamatrice
intrecciavano senza fretta i fili,
per completare la trama di un pizzo
unico e prezioso, che prendeva forma
tra il fruscio del vento e il cullar dell’onda.

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Così si sconta la pena

Al buio si tende l’orecchio assetato di suoni,
di voci che la corrente trascina nel regno
del silenzio, dove si spegne il canto
sepolto tra le zolle del giardino incolto,
accompagnato dal fruscio delle betulle
che ingannano la morte sussurrandole
una nenia d’amore improvvisato.

Inatteso lo scalpiccìo di bambini
che impasta il cortile di ghiaia e di risate
appena smorzate da un sommesso richiamo,
mentre un’auto, in attesa oltre il cancello,
ingrana la marcia e si allontana in fretta
lungo il rettilineo che conduce al porto.

Un mese è trascorso… una vita non basterà per dimenticare…

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Priva di te

È nella prospettiva del porto
che annegherò lo sguardo
dopo che gli ultimi giorni sono scivolati via
veloci come la rapida voga della iole
che lambisce l’acqua e il suo specchio,
alla cadenza del ritmo e della voce
che l’accompagnano.

Saranno soltanto risvegli sordi,
privi del richiamo che giunge dalla riva
accompagnato dall’albero maestro con le sue vele,
quando bussa al doppio vetro della finestra
offrendo in regalo il nuovo giorno
denso di meraviglia e di stupore,
filtrando una luce sempre diversa all’orizzonte.

Priva di te, chiuderò le tende,
lasciando che la penombra riaccenda i ricordi
che galleggeranno quieti, in attesa di toccare il fondo.

Dedicata alla mia casa e alle acque del mio porticciolo, che tra poche ore dovrò abbandonare… A volte è sufficiente uno spostamento di pochi metri, per cambiare la prospettiva di un’intera vita…

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Alba di S. Lorenzo

Tra breve volgerà a ponente lo sguardo
che accompagna questa luna gravida di tormento,
tenuto in grembo con inauditi spasmi,
ché il coraggio di un aborto avrebbe impedito
il lacrimar degli occhi, persi verso levante,
ad accompagnare l’alba oltre Campo de’ Fiori.

Sarà invece l’acre odore della fiamma,
ad incenerire l’ultima fantasia di fuga
oltre la cresta dei monti,
che la frontiera accoglie senza pretendere visto d’entrata,
là dove chiede asilo il sole,
inorridito da tanto insopportabile dolore.

Il massiccio del Campo de’ Fiori, che sovrasta Varese, è sede di un importante osservatorio astronomico. Dalle finestre di casa mia lo si vede come una gobba, proprio alle spalle di Luino.

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Nell’attesa

Da poco s’è accesa l’altra sponda,
che porge il suo volto al mio balcone
proteso a tendere lo sguardo oltre il molo
seguendo la frangia dell’onda in fuga
verso l’abbraccio dell’opposta riva.

Alle mie spalle il tuono
e l’ombra minacciosa della tempesta
accovacciata dietro il crinale del Limidario,
pronta a ghermire il lago scompaginandone la quiete,
costringendomi a chiudere la finestra
per raggomitolarmi fra le lenzuola,
immobile, ad ascoltare.

Il monte Limidario si trova sul versante piemontese del lago Maggiore, al confine tra l’Italia e il Canton Ticino.

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Della tua voce

La rugiada ha il sapore della tua voce,
che canta il fugace risveglio dall’arsura
allontanando il mostro che morde la carne
e illividisce i giorni.

È frescura dissetante di acqua distillata
che deterge il fango indurito dalla smorfia del gelo,
nel quale agonizza e si dibatte la vita,
per trovare uno spiraglio tra lo sterco e il sale.

A mia sorella A.M.

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Shantung

Mi sei scivolato via
come una vestaglia di shantung ribelle
che le spalle non possono trattenere a lungo,
mentre cade ai piedi come un cencio selvaggio
di ruvida fattura.

È il cascame di un amore irregolare e grezzo,
che del serico fruscio fiammante è soltanto
il riflesso stinto e sfilacciato,
rivelando tra le dita i grumi
di una passione artificiale e di nessun pregio.


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Alla luce di una lampada Tiffany

Fu soltanto una tregua,
una fragile parentesi frantumata
contro il vetro di una finestra rotta,
senza avere il tempo di metabolizzare
il cigolio della tapparella
che si riavvolge sul porto in dissolvenza.

Sarà come estirpare un bubbone,
un’escrescenza purulenta,
incisa in punta di coltello,
da lasciar colare a terra gravida di sangue,
in una pozzanghera che legge l’orrore
nella smorfia del ribrezzo.

E nelle sere d’inverno che faranno compagnia
al dormiveglia inquieto dell’insonne,
i ricordi distillati decanteranno nel fondo
di un bicchiere abbandonato sul comodino,
nella penombra opalescente di una lampada Tiffany
che illumina l’alcova priva di baci e di carezze.

Si consumerà il brindisi di un ritorno a casa,
al sapore di tappo
e con un retrogusto amaro in bocca.


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